La Laguna Ancora
This is a serial novella updated Sundays; for more information see this post.
La Laguna Ancora; ovvero, Miel da Casiglio va a Venesia
Tanti anni fa, c’era una viaggiatrice che scese dalle montagne dove aveva vissuto per tutta la vita. Alla soglia dell’altopiano, girandosi al sud, vide all'orizzonte una striscia bianca bianca. Picchiò gli occhi, ma non poté che non guardarla. Fu l’acqua lassù. Ovvero, il mare. Questa è la sua storia, ascoltate bene.
1: Cansiglio
Miel camminò con sua sorella Talla verso la stazione dei dirigibili, rimase solo un tratto. Erano partite dalla loro casa quella mattina a prima luce, passando prima per il bosco dove vivevano ancora i cervi e poi, arrivando alle case nuove, dette così anche se la gente ci viveva da quasi due secoli ormai, scelse il sentiero al sud-ovest che li portò sul dorsale della montagna. Talla aveva nello zaino solo il suo pranzo, nella mano il suo bastone. Miel aveva sulle spalle molto di più.
Un coltello legato al braccio era l’unica cosa suggestiva del viaggio che stava per fare. Era vestita nel modo normale di una della sua famiglia, una famiglia dell’altopiano. Una bandana leggermente rosa copriva la testa intera lasciando al sole solo gli occhi e le sopracciglia, scuri come il suolo ricco dopo la pioggia. Anche si era già novembre, andava con camicia e pantaloni di lino, tinto il colore dei mirtilli selvatici. Tre giri di spago grosso fibroso cingevano il suo corpo, una alla vita e due alle spalle, e su quelli dietro stava appeso il suo zaino di tela. Dentro, tra qualche moneta, una bottiglia di succo di mela, e biscotti abbastanza per almeno tre giorni, c’era il pacco a cui aveva pensato tutta la mattina.
Una pausa era benvenuta. Avevano raggiunto la discesa che le separava dalla stazione, una breve camminata: erano in tempo. Talla si sedette subito su una panchina semplice che qualche anima aveva fatto con un tronco di faggio e un’ascia. Lei la conosceva bene, e Miel anche. C’era un panorama indimenticabile del paesaggio sotto il loro paese.
“Com’è il ginocchio?”
“Non sarei venuta se io non sapessi che ce la posso fare.” Col bastone Talla diede un colpo alla terra. Una pausa, poi aggiunse: “Sai che per me è importante.”
“Sì, lo so,” Miel rispose subito.
“Hai la lettera? Se lo perdi non ti perdonerò mai.”
“Sì, e la tua mappa che ho messo nello stivale, vedi?” Toccò dove aveva messo il tubo di carta, legato con l’erba intrecciata. Troppo carino, forse, ma Talla sempre voleva fare belle cose, e per questo era diventata una nota falegname.
“La mappa non ti basta, però. Sarà cambiato tanto in questi ultimi vent’anni. Per questo ti dicevo di trovare qualcuno subito. Non ce la farai da sola. Hai una testa impulsiva, sai? Anche la tua mantra lo dice. Secondo me ti perderai a Venesia. Per questo ho l’ansia.”
“Credi che non lo troverò.”
“No, temo che non tornerai.”
Talla, nel suo modo, lanciò la battuta e poi tacque subito, volgendosi a guardare i fiorini bianchi sparsi tra il sentiero e i sassi. Miel sapeva che tra i suoi capelli, coperti con la stessa bandana rosa, intorno alla sua coda di cavallo, che c’era annodata la sua mantra, tre versi scritti in letteri quasi indecifrabili con l'inchiostro rosso su un nastro bianco. Una terzina regalata a lei dalla mamma del rifugio dell’Altopiano: “e maledico l’infelice giorno, / che di lasciarti avennemi; e sospiro / la lentezza del pigro mio ritorno.” Difficile da capire, questa. Le parole no, perché loro due e i loro coetanei studiavano bene la retorica e la composizione nella scuola del paese da quando avevano cinque anni. Ma il significato di quella mantra era tuttavia oscuro, e quelle del rifugio non le direbbe da dove sono venuti i versi.
La frase doveva essere la sua guida, ma l’anno precedente per Talla era stato un anno difficile, a causa del suo ginocchio. Un incidente in laboratorio nella primavera, puro caso. Un pigro ritorno davvero. Incapacitata, non potè camminare bene le strade che attraversavano l’Altopiano. Pure accompagnare la sorella alla stazione tolse tutta la sua energia.
Miel provò ancora. “Non mi perdo mai, conosco benissimo la mappa.”
“Laggiù la logica delle cose è diversa.” Talla stava strappando l’estremità della fascia sulla sua gamba.
"Vabbè, vado a capire le nuove regole e poi lo trovo.”
”Non è così semplice, Mi.”
Miel aveva ventiquattro anni, cinque meno della sorella, e non era mai scesa dalle montagne. Talla era scesa una volta, ma questa volta non ce la poteva fare, toccava alla sorella minore.
“E perché non tornerei?” chiese Miel allora.
Talla non rispose. Miel si girò a guardare nei suoi occhi e ci trovò le lacrime, scintillando nel sole dall’oriente. I fiorini parvero in coro con le sue due luci, e tutte le gridavano di restare ancora. In quel momento una scossa era venuta al suo stesso corpo. Sbatté le palpebre una, due volte, e sorsero anche per lei le lacrime.
Ma era il momento di andare. Nonostante le lacrime e il coro dalle fiorini bianchi come stelle videro che dal nord era comparsa l’ombra tonda del dirigibile enorme. Ora si cammina. Fretta fretta fretta.
Con passi irregolari Talla andò davanti. Dopo poco stavano salendo le scale di pietra elegante e legno scolpito. Il dirigibile scendeva come una balena, o almeno nel modo in cui immaginavano che un balena scendesse, dal alto cielo, per ormeggiare accanto alla stazione di Cansiglio. Con l’aeronave arrivò anche un leggero colpo di vento che fece tremare i pini e le querce intorno all’edificio, il quale in sé neanche sembrava molto solido, composto da tre torri, una centrale di blocchi di calcare e i due rami di legno e ferro, quella settentrionale un po’ meno alta che quella sud-occidentale. Era in quell’ultima che salirono, seguendo le frecce all’interno della stazione che dicevano “Adria”.
Talla si fermò davanti a una finestra, tra due scale. La sua faccia storta diceva a Miel che il ginocchio le faceva male. “Un attimo solo, ti accompagno.”
“Tal, parte tra poco. Ci salutiamo qua.”
La sorella la guardò con occhi duri. Questo angolo della stazione non era il posto dove voleva dire un ciao alla loro alleanza perenne; desiderava con tutto il cuore andare con lei la viaggiatrice per seguire all’ultimo il consegno che doveva fare. Ma non riusciva, non c’era né abbastanza soldi né una ragione valida per cui Talla potesse salire quella scala e scendere alla pianura con Miel.
E allora cosa fare? Miel le diede un abbraccio forte e guardò oltre le loro figure, con le sciarpe rose intrecciandosi, al quel piccolo parte dell'orizzonte che poté intravedere dalla finestra, dove brillava la striscia bianca bianca, il mare.
“Guardami, Tal,” disse in quel momento, “vado e ti scrivo ogni giorno, sai. Guarderai verso Venesia da quella panchina e saprai che sono laggiù al sud, tra le acque, e saprai che lo sto cercando e poi quando il pacco è nelle sue mani, mi aiuterai a tornare subito. Okay?”
E la sorella maggiore, che la guardò tra le lacrime, la sua figura non così rigida come sembrava il momento prima, a quelle ultime parole prese la sorella minore, mani a braccia, nel modo in cui le sorelle dell’Altopiano si tenevano, e disse di sì.
Miel corse a quel punto, fuggendo sù le scale. Arrivò, respirando forte, al precipizio dove dalla porta una passerella sottile legava la torre al dirigibile. Diede il biglietto modesto alla figura al pontile, che lo stampò con le lettere “VSA” in un inchiostro rosso. Salì sulla zattera sotto la massa gonfiabile del dirigibile, e il suo cuore non ebbe tempo neanche do battere tre volte che la balena cominciò ad alzarsi silenziosamente al cielo, nel sole caldo che la spingeva verso sud.
Le montagne cadevano ai suoi piedi, la sua terra di campi verdeggianti e colline silenziosi con solo i rami e le foglie che frusciavano, che nella primavera invece si riempivano d’uccelli che arrivavano dai paesi più caldi, era piegata da lei come un foglio di un libro.
Nel momento in cui poteva ancora vedere la torre, la stazione e il bordo dell’Altopiano, vide Talla illuminata dal sole nella finestra dove s’erano lasciate. Quando vide che lei la vedeva, Talla tolse la sua bandana con una movimento fluida. Snodò il nastro bianco, la sua mantra, e la tenne tra le mani sopra la testa svelata. L’infelice giorno. Un gesto pieno di ricordi; nella mitologia del posto comunicava sia vittoria che dolore, un segno che si usava invece di gridare a lunghe distanze. Ti vedo, voleva dire. Ricordati del Cansiglio, anche. Ricordati di me.
Poi scomparve da vista. Era andata, pensò Miel, per fare la camminata indietro alla loro casa, per prendere cura dell’orto che facevano insieme, anche se era il mestiere della sorella minore. Senza le mani capaci di Miel sarebbe stato difficile prendersi cura sia della sua officina che dell’orto. E questa era la stagione tollerabile, cioè quello più importante se volevano vivere bene nella stagione calda. Per questo Talla sperò che Miel tornasse presto. Non c’era altro opportunità. I dirigibili avevano portato le notizie dal sud, e quindi la sua missione non poteva più aspettare.
Tornò dall'altra parte della piattaforma inferiore a vedere il paesaggio davanti a lei, fino all'orizzonte. Alla base delle montagne, piccoli villaggi resistevano il caldo e le inondazioni annuali dei fiumi. Miel li conosceva solo dagli scambi che il suo paese faceva ogni tanto tramite le funivie: come era detto, riso sù, castagne giù. Ora lei era lontana da quella realtà, e nella sua testa suonava la frase che creava la fascia per i suoi capelli lunghi castani, e anche il nodo del suo essere, per cui doveva pensare a lungo quell’anno specialmente. A lei il suo significato non era ancora chiaro come il sole, non ancora radicato nella sua anima come le montagne nella terra. La sua mantra che cantava della acqua umile e delle infinite strade.
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